Indietro?? ...Neanche per prendere la rincorsa...

Thursday, November 08, 2007

....energia?

Il petrolio schizza a 100 dollari il barile, la valuta americana precipita in una débacle vertiginosa: è il futuro che ci arriva addosso come una locomotiva impazzita. Il futuro appartiene a Cindia, e la rapidità con cui lo sviluppo asiatico cambia il pianeta impone scelte urgenti. Non bastano il documentario da premio Oscar e il Nobel per la pace ad Al Gore, non basta affidarsi alle "prese di coscienza", per tingere di verde il linguaggio politichese. L'adattamento alle nuove sfide energetiche e ambientali deve inseguire l'accelerazione spettacolare degli eventi. Dietro al comportamento isterico dei mercati ci sono interessi potenti in azione, hedge fund e finanza derivata scommettono sull'instabilità, capitali speculativi amplificano il rincaro petrolifero e il ribasso del dollaro. Ma la speculazione opera sulla base di uno scenario reale: tre miliardi e mezzo di cinesi indiani e altri popoli asiatici ci contendono le risorse naturali sempre più scarse; le riserve petrolifere mondiali sono sotto una pressione inaudita; l'effetto economico è brutale, l'impatto sull'ambiente è pauroso.
Proprio mentre la compagnia petrolifera cinese PetroChina diventa la regina mondiale delle Borse, con una capitalizzazione superiore ai big americani Exxon e General Electric messi insieme, l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) pubblica un rapporto allarmante sul peso di Cindia nella crisi energetica. L'Aie ci avverte che entro il 2030, cioè in soli 23 anni, i cinesi avranno sette volte più automobili di oggi (270 milioni), il loro consumo di energia sarà più che raddoppiato. Già fra tre anni la Cina avrà superato gli Stati Uniti per il consumo di petrolio: appena due anni fa, la domanda americana era ancora superiore di un terzo. L'India segue dappresso la Cina, la sua domanda di energia sarà più che raddoppiata entro il 2030, e la maggior parte di quel fabbisogno aggiuntivo dovrà essere importato. A causa di Cina e India, "i giganti emergenti dell'economia mondiale e dei mercati internazionali dell'energia", l'Aie ci avverte che i consumi di petrolio, gas e carbone in un ventennio cresceranno oltre il 50% rispetto ai livelli odierni. Se la situazione di oggi è così tesa da sospingere il greggio a 100 dollari il barile, quanto spenderemo nei prossimi anni per continuare a usare l'automobile? I paesi petroliferi dovranno aumentare la produzione a 116 milioni di barili al giorno entro il 2030, cioè 32 milioni di barili in più. A quella data, sostiene l'Aie, il prezzo nominale del greggio potrebbe toccare i 159 dollari. Ma esisteranno ancora riserve sufficienti? A quale costo di estrazione? Già oggi una delle cause del caro-petrolio è la carenza di infrastrutture per estrarre, trasportare e raffinare "l'oro nero". Per rispondere alla spaventosa impennata dei consumi mondiali bisogna investire altri 22 mila miliardi di dollari nelle infrastrutture per l'approvvigionamento: tutti costi che verranno scaricati sull'utente finale, il consumatore. Gli equilibri geopolitici, la sicurezza interna dei nostri paesi, la stabilità e la pace sono minacciate. Da una parte Cina e India si affacciano con piglio sempre più aggressivo in Medio Oriente, Africa e America latina a contenderci le stesse fonti di approvvigionamento da cui dipendiamo; d'altra parte la nuova ricchezza finanziaria generata dalla penuria energetica andrà a concentrarsi in zone come il Golfo Persico dove il fondamentalismo islamico è terreno di coltura del terrorismo. Un'altra minaccia immediata incombe sulla nostra salute e la nostra sopravvivenza. In assenza di una svolta nei modelli di sviluppo e di una conversione repentina verso le fonti alternative, le emissioni carboniche esploderanno del +57% nel prossimo ventennio. "La Cina - scrivono gli esperti Aie - è di gran lunga la maggiore responsabile delle emissioni aggiuntive, superando gli Stati Uniti. L'India diventa il terzo maggior responsabile intorno al 2015". Il cambiamento climatico fin d'ora impone un prezzo pesante a quei paesi. Secondo la Banca mondiale 16 tra le 20 metropoli più inquinate del pianeta sono in Asia. In Cina le morti premature dovute allo smog sono 750.000 ogni anno. L'aumento delle temperature scioglie i ghiacciai dell'Himalaya che alimentano i grandi fiumi d'Oriente. Desertificazione, diminuzione delle terre coltivabili, penuria d'acqua, aprono scenari di crisi alimentari che possono sfociare su conflitti armati, in zone ad alta densità di eserciti e testate nucleari. Non siamo al riparo noi, vista la rapidità con cui il nuovo inquinamento made in Cindia arriva nei nostri cieli o sulle nostre tavole. Il rapporto dell'Aie è un antidoto all'egoismo dei paesi ricchi. Riconoscere il peso esorbitante di Cindia nei consumi energetici e nell'effetto-serra, non significa che spetti solo a quei paesi prevenire il disastro. L'Aie ricorda che "le emissioni carboniche pro capite della Cina nel 2030 raggiungeranno solo il 40% di quelle degli Stati Uniti, in India rimarranno ancora più basse rispetto alla media pro capite dei paesi industrializzati". L'enorme stazza demografica di quei due paesi non deve farci dimenticare che ogni italiano col suo tenore di vita continua e continuerà a emettere molti più gas carbonici di un cinese o di un indiano. Ai paesi dove si concentra la maggior parte della popolazione mondiale non si può chiedere di bloccarsi. I primi a inquinare siamo stati noi, continuiamo a farlo - pro capite - molto più di loro, l'aspirazione al benessere non è un nostro monopolio. Il rapporto dell'Aie è categorico: "Bisogna attuare immediatamente misure politiche e trasformazioni tecnologiche senza precedenti". In ordine di efficacia gli interventi da privilegiare per l'Aie sono "efficienza e conservazione dell'energia; sviluppo del nucleare e delle fonti rinnovabili; diffusione delle tecnologie per un carbone pulito". Dobbiamo anche dare un posto a Cina e India al tavolo dei grandi. Il G7 è il luogo per affrontare problemi di governance globale. E' assurdo che Italia, Francia, Inghilterra e Germania vi occupino ciascuno una sedia (sarebbe più logico un unico rappresentante europeo) mentre indiani e cinesi non ne fanno parte. Perché si assumano le loro responsabilità bisogna prendere atto che il loro peso è mutato. Senza la cooperazione di Cindia anche il terremoto valutario è difficile da affrontare. Il crollo del dollaro è il risultato di anni in cui l'America è vissuta al di sopra dei suoi mezzi, accumulando deficit commerciali verso l'Asia. Il peso dei debiti americani è la mina vagante che genera un'instabilità finanziaria mondiale. La banca centrale cinese è il più grosso creditore di Washington, con 1.500 miliardi di dollari di riserve investiti in larga parte in BoT americani. Mentre cascano come birilli tutti i capi delle grandi banche americane travolti dagli scandali dei mutui subprime, la Federal Reserve deve curare il malato lasciando scivolare i tassi e il dollaro. Pechino ha adottato una tattica abile nel breve periodo, pericolosa nel lungo termine. Ha sganciato la sua moneta dalla parità fissa col dollaro, ma "pilota" il cambio in modo da rivalutarlo molto lentamente rispetto alla moneta Usa. Di conseguenza la valuta cinese e altre valute asiatiche di paesi satelliti si deprezzano quotidianamente rispetto all'euro. Tutto l'onere dell'aggiustamento del dollaro si scarica così sull'euro, amplificandone la forza e creando le premesse per altri squilibri. Da questa impasse non si esce finché ci si culla nell'illusione che il mondo sia ancora un condominio America-Europa.

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